Poco meno di un anno fa la copertina dell’Economist titolava “The world’s most valuable resource is no longer oil, but data“, liberamente tradotto: “la risorsa di maggior valore al mondo non è più il petrolio, ma i dati”. In realtà l’articolo poi si concentrava sugli enormi margini che fanno i giganti del web (presenti e futuri), e sull’opportunità di tassarli ma… fa ragionare su diversi punti.

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Aziende come Google e Facebook mettono a disposizione una piattaforma di incredibile complessità, in maniera formalmente (e fino ad un certo grado di utilizzo) gratuita, ma guadagnano in maniera “stellare” attraverso la vendita della pubblicità… gli utenti non solo sono soggetti “passivi” della pubblicità (come accade con gran parte dei media classici, tipo TV, carta stampata, radio), ma – attraverso i dati che condividono e pubblicano sulle piattaforme messe a disposizione – diventano soggetti “attivi”, ricevendo  pubblicità mirata che ha un valore (ed un prezzo) molto maggiore.

C’è un rovescio della medaglia, o meglio ce ne sono molti, ma mi concentrerei sul più ovvio: molti utenti pubblicano “dati sensibili” non rendendosi conto dei risvolti pratici: si va dalla possibilità di essere licenziati perché si parla (anzi si scrive) male dell’azienda per cui si lavora, dalla possibilità essere “taggati” in una situazione “non opportuna”, fino alla possibilità di farsi svaligiare casa mentre si è all’estero postando “a tutti” foto della (meravigliosa) vacanza.

Discorso ancora più complesso è quello dei dati genetici: rischio di sviluppare determinate malattie, che valore può avere – per esempio – per una azienda che deve assumere delle persone, o per stabilire il premio di una assicurazione?

Molte aziende offrono servizi di analisi del DNA, facendo scopo di lucro, nel frattempo raccolgono dati genetici di grandi popolazioni, che – incrociando con altri tipi di dati tra cui stili di vita, attività sportiva, etc (tutte cose facilmente presenti sul e/o transitanti dal nostro smartphone) – diventano estremamente potenti e – ancora una volta preziose.

Il prossimo step però sarà – per qualsiasi tipologia di dati forniti – che non solo alcuni servizi siano “free”, ma che venga riconosciuto “qualcosa” a chi “consegna” dati.

Ammettendo di stabilire un valore che il “raccoglitore di contenuti” sia disposto a pagare e che ci sia quindi incontro tra domanda e offerta, come si conclude la transizione? Ci sono innumerevoli variabili e la staticità delle attuali banche rende troppo dispendioso che mi venga riconosciuto, che so – 1 cent a like – considerando poi che dovrebbe esserci comunque un tetto al numero di like per unità di tempo perché ci sarà sempre qualcuno sufficientemente stupido da passare tutta la giornata a mettere click a caso che so per “ricaricarsi” di 10€ quando nella stessa unità di tempo ha consumato energia elettrica (diretta e indiretta) e non ha prodotto nulla per un valore molto più alto.

La risposta a tutto ciò si chiama “blockchain”, che non vale solo per i bitcoin, anzi i bitcoin sono la prima declinazione “nota” al grande pubblico.

Qualche settimana a Londra al Festival of Genomics fa ho assistito alla prima presentazione di un’azienda (Encrypgen) che raccoglie dati genetici e li “paga” in una valuta virtuale (DNA token) .

Ho ascoltato sia il direttore vendite e marketing, sia il fondatore: beh, in pratica loro raccolgono i tuoi dati, se li vendono a qualcuno – e in base a che dati quel qualcuno vuole ed è disposto a pagare in moneta “sonante” – ti danno della loro moneta… più trovano “fornitori di dati”, più è probabile che qualcuno sia disposto a pagarli… più li pagano più il valore della moneta sale, scatenando un circolo “virtuoso” (così veniva definito).

A me la cosa ha lasciato interdetto, perplesso della serie si interessante ma… a me che me ne viene? Io vorrei sapere PRIMA di fornire i miei dati, questi quanto valgono e quindi cosa posso ottenere, mentre qui la storia è: tu dacci tutto… poi se ci guadagnano qualcosa non ci dimenticheremo di te… il che forse non è una truffa ma avrei difficoltà a definirlo un affare.

Però c’erano centinaia di biologi, medici, genetisti, bioinformatici che ascoltavano e applaudivano. Quindi il mercato ci sarebbe… ma dai risultati io (che però non sono un trader) interpreto che c’è stata una intensa movimentazione (le barrette verticali), ma il valore non solo non è salito ma è sceso e di molto: hanno distribuito un sacco di queste monete ma nessuno ancora ha comprato i dati e quindi il valore della moneta si sta diluendo.

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Ovviamente questa non è l’unica azienda, ce ne sono già decine! Una molto “spinta” (interessante l’articolo su “Fortune.com“) è Nebula Genomics: loro dicono di fare tutto in casa e pagare direttamente in bitcoin chi si fa sequenziare il DNA…

Insomma quello che stiamo vivendo sembra essere il secolo dei dati… anche quelli genetici. E’ indispensabile tenersi aggiornati e ragionare… e ricordarsi che se un “prodotto” è gratis, allora è molto probabile che il vero prodotto sia tu…

Io non sono in assoluto contrario, anzi… ma è bene avere gli elementi per capire quale sia il nostro “valore” come “prodotti”… e – se si vuole – farsi pagare il giusto!


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